Ringrazio tutti voi per avere accolto l'invito dell'amministrazione comunale di celebrare insieme la ricorrenza del 4 novembre.
Ringrazio il parroco don Giambattista Scura che ci ospita e condivide con noi la cerimonia, una conferma della collaborazione fattiva esistente tra comune e parrocchia.
Ringrazio il brigadiere Paolo Gionfriddo della stazione dei carabinieri di Camisano, in rappresentanza dell'Arma e delle Forze armate. La giornata di oggi è dedicata a loro e all'unità nazionale.
Il 4 novembre 1918 si concludeva una guerra durata quattro anni e costata all'Italia 650 mila morti.
Da solo, questo dato era più che sufficiente per percorrere senza esitazioni la strada della pace ed evitare guerre future.
La storia ci dice che non è andata così.
Una ventina di anni dopo la fine di questa guerra un altro conflitto si prendeva la vita di 472 mila nostri connazionali.
Al termine della carneficina veniva scritta la Costituzione della Repubblica.
L'articolo 11 si occupa del tema della guerra.
Il testo è molto preciso: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
Questo solenne impegno non ha evitato all'Italia di essere coinvolta in conflitti internazionali pagati con il sangue dei nostri militari.
Trent'anni fa a Mogadiscio, vent'anni fa a Nassirya, diciannove anni fa in Afghanistan abbiamo piantato le croci dei nostri connazionali. Non sono gli unici posti dove abbiamo pianto per la morte dei nostri militari, ma solo i più noti.
Anche oggi, in questo momento, molti soldati italiani si trovano in zone di guerra e rischiano la vita.
La pace è ancora lontana, ma non dobbiamo commettere l'errore di pensare che sia un miraggio. Un'utopia. Non dobbiamo arrenderci.
Dobbiamo, invece, crederci, con forza e passione. Dobbiamo essere convinti che sia un obiettivo raggiungibile. Difficile, estremo. Dobbiamo arrivare alla meta con costanza e sacrificio.
La pace non si conquista da soli. E una conquista di questo tipo non può essere personale.
In un mondo globalizzato, con interessi economici che coinvolgono più stati, è impensabile, ma soprattutto impossibile rimanere estranei ai conflitti internazionali.
Siamo in Europa, siamo nella Nato, siamo legati indissolubilmente all'economia il cui andamento non può prescindere dalle guerre in corso.
La guerra ci insegue, ci trova, ci perseguita, ci penalizza. Ci fa sentire i suoi effetti sui banchi del mercato, alla pompa della benzina. Ci mostra la sua assurdità con le immagini di morte e di distruzione, di bambini mutilati, di violenza. Di corpi straziati.
E le file di profughi ne testimoniano l'insensatezza e la disumanità dei conflitti armati.
Alcuni mesi fa, in occasione di un dibattito sulla guerra ho letto una dichiarazione di un rappresentante dell'Onu. L'ho trovata straordinaria e attualissima nonostante il funzionario delle Nazioni unite l'abbia pronunciata oltre vent'anni fa.
Vorrei oggi condividerla con voi ed invitarvi a riflettere.
Le guerre cominciano nella testa delle persone: guerrafondaio è chi percepisce la diversità come minaccia, e non come elemento di arricchimento e di crescita nella civiltà. Il dialogo va impostato tra due civiltà: quella che crede nella diversità e quella che ha paura della diversità. Non si dialoga con l'imparzialità, ma con la capacità di difendere i principi in cui si crede.
Io aggiungo, che non esistono guerre di religione. La religione serve per giustificare aspetti sociali, economici e politici.
E qui potremmo aprire una discussione sul neoliberismo selvaggio e quello che esso comporta, ma non è né il momento, né il luogo.
Possiamo però sottolineare che i motivi sociali sono strettamente legati all'economia. Pertanto possiamo affermare, con una generalizzazione accettabile, che la guerra nasce e prosegue per motivi economici e politici.
Per motivi di soldi e potere.
Altre motivazioni servono per tacitare la coscienza e giustificare morti, feriti, dolore.
Noi crediamo nella pace. Difendiamo la pace. Lavoriamo per la pace. Ci impegniamo per la pace.
Non solo con la testimonianza, ma anche con la concretezza. Dire sono pacifista, partecipo alla marcia per la pace, espongo la bandiera della pace non è sufficiente. Occorre essere portatori di pace nella vita quotidiana. Lottare per la pace.
Dobbiamo essere portatori di pace nei rapporti interpersonali e con le istituzioni. Con il confronto leali e privo di pregiudizi Con l'ascolto.
Ricordiamoci che le guerre hanno le loro radici nell'egoismo. Si nutrono di cupidigia e coercizione. E sono tutte ingiuste.
Non credo sia utile affrontare il problema della guerra con la ricerca di chi abbia ragione e chi torto.
In questo modo si creano altre contrapposizioni, che invece di portare ad una soluzione dello scontro, lo amplificano. Lo radicalizzano e rendono la pace impossibile.
Occorrono, invece, dialogo e confronto.
Dobbiamo schierarci con la pace, senza se e senza ma. Con un'unica certezza: la pace si raggiunge solamente se si coinvolgono gli altri.
«Nessun uomo è un'isola» non è solo il fortunato e famoso di una lirica di John Domme o il titolo di un libro di Thomas Merton, È un dato di realtà certificato da antropologia e sociologia.
E allora se non siamo un'isola, vi esorto ad essere portatori di pace ogni giorno. Incominciamo in famiglia, sul lavoro, nella nostra comunità.
Oggi è la giornata dell'unità nazionale, festeggiamola con il proposito di iniziare ad essere uniti fra noi.
È un piccolo passo, ma tutte le grandi conquiste iniziano con piccoli passi.
È anche la giornata delle forze armate e allora rendiamo omaggio a tutti quegli uomini in missione di pace, che negli ultimi anni sono morti in paesi lontani.
Vi lascio con l'esortazione la stessa che viene ripetuta ad ogni celebrazione della santa messa. Scambiamoci un segno di pace. Ma non basta una stretta di mano. Perché la pace è fatica, sacrificio. Determinazione.
Viva l'Italia. Viva la pace.