Descrizione
Siamo qui per la ricorrenza del 4 novembre, Festa delle forze armate e dell’unità nazionale.
Ringrazio don Giambattista Scura, che ha accolto la richiesta dell’amministrazione comunale di celebrare la cerimonia nella chiesa parrocchiale, testimonianza di una fattiva collaborazione tra comune e parrocchia.
Collaborazione che non è mai venuta meno in questi anni.
Ringrazio il brigadiere Paolo Gionfriddo, che rappresenta la stazione dei carabinieri di Camisano con la quale abbiamo un rapporto stretto e proficuo.
Ringrazio la Protezione Civile e i volontari del comune, sempre presenti e disponibili ad aiutare la comunità.
Ringrazio il nostro alpino Valentino Cattaneo.
Oggi è la giornata per rinnovare, celebrare, ricordare e riflettere.
Per rinnovare la gratitudine verso le forze armate, che con dedizione servono il Paese e che sono determinanti per la salvaguardia delle nostre istituzioni e baluardo per un avvenire sicuro e pacifico dell’Italia.
Per celebrare la pace: il 4 novembre del 1918 si concludeva una guerra durata quattro anni e costata all’Italia 650 mila morti. E oggi con i massacri di Gaza e Ucraina e le decine di guerre in corso, che rimangono sconosciute, la pace è un tema che non può essere ignorato ed è un impegno che abbiamo il dovere perseguire.
Per ricordare l’articolo 11 della Costituzione. «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
Per riflettere sull’unità nazionale, aspetto sul quale non ci si sofferma abbastanza. La si ritiene acquisita e nessuno lo mette in dubbio e i ciclici e sporadici rigurgiti secessionisti non la scalfiscono.
Ora, se è vero che l’unità geografica dell’Italia è una realtà indiscussa, è altrettanto vero che quella territoriale è solamente una componente dell’unità nazionale.
Esiste un altro aspetto, troppe volte dimenticato, rimosso, poco considerato. Comunque sottovalutato.
È il rovescio della medaglia, il lato nascosto della luna, quello che non si vede. Quello che si tende a ignorare.
Questo fantasma, questo convitato di pietra, si chiama unità sociale che ancora non è stata pienamente realizzata. Non dimentichiamolo e soprattutto ricordiamoci che la vera unità nazionale si raggiunge quando una più equa e giusta perequazione sociale sarà raggiunta. Quando ci sarà una minore disparità tra i cittadini.
Esistono ancora troppe disuguaglianze che indeboliscono e minano nel profondo il senso di comunità che dovrebbe unire gli italiani e costituire il vero collante del nostro vivere insieme.
Abbiamo due Italie: quella dei ricchi e quella dei poveri. E non mi riferisco soltanto all’aspetto economico, ma anche a quello culturale, educativo e sociale.
La vera unità di una nazione non si misura solo nei confini, ma nella giustizia, nelle pari opportunità e nella solidarietà tra le persone.
E un Paese è tanto più unito, quanto più il divario, la forbice tra ricchi e poveri in senso generale è più ristretta. Invece questa divaricazione tende ad aumentare: con i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
L’articolo 2 della costituzione recita: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
Se lo si legge con attenzione si può affermare che altro non è che la sintesi di quell’integrazione sociale che manca. La costituzione è stata approvata il 22 dicembre 1947. È entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Sono passati 77 anni, ma non si può sostenere che questo obiettivo sia stato raggiunto.
E sul tema delle disuguaglianze illuminante è l’esortazione apostolica Dilexi te di Papa Leone XIV sull’amore verso i poveri, firmata il 4 ottobre scorso, festa di San Francesco d’Assisi. «Le società in cui viviamo – sottolinea il Papa - spesso privilegiano criteri di orientamento dell’esistenza e della politica segnati da numerose disuguaglianze e, perciò, a vecchie povertà di cui abbiamo preso coscienza e che si tenta di contrastare, se ne aggiungono di nuove, talvolta più sottili e pericolose».
Per dimostrare l’esistenza di questa sperequazione bastano due esempi.
Il primo riguarda la sanità. È garantito il diritto alla salute di tutti i cittadini? In teoria sì, con il servizio sanitario nazionale. Nella realtà no. È garantito se si ricorre al privato, quindi è garantito per chi può pagarsi l’assistenza medica. E questo è inaccettabile.
Il secondo si riferisce alla spesa sociale dei comuni. È una voce significativa nel bilancio e negli ultimi anni è triplicata. Una testimonianza innegabile che il disagio, le fragilità, le richieste di aiuto sono aumentate. In una società più equa e solidale dovrebbero invece diminuire.
L’unità nazionale si raggiunge anche con la tolleranza, la comprensione, il dialogo, tre comportamenti oggi poco praticati.
E, infine, mi sia concesso: come può esserci unita se il cittadino non ha un rapporto di fiducia nelle istituzioni? Se esse vengono viste come un avversario che vuole prevaricare?
Spiace sottolinearlo, ma succede anche nelle piccole realtà dove il rapporto tra istituzioni e cittadini dovrebbe essere più stretto e collaborativo.
La società globale, massificata non aiuta l’unità e non favorisce la collaborazione. Al contrario privilegia gli interessi individuali e penalizza quelli della comunità. Si deve cambiare rotta, invertirla. A cominciare dalla nostra vita quotidiana. E un buon inizio potrebbe essere un impegno disinteressato e propositivo verso la comunità a cui apparteniamo.
Il comune vi aspetta. Ha bisogno di voi.
Chiudo e ripeto: oggi è la giornata per rinnovare, celebrare, ricordare e riflettere.
Viva le forze armate! Viva l’unità nazionale! Viva il nostro comune!
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Ultimo aggiornamento: 3 novembre 2025, 08:39